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È tornata la pioggia, lenta come un pensiero antico,
una musica che cade, e consola, e non chiede perdono.
Scivola sui vetri con passo amico,
lava i cieli stanchi, e il giorno suona come un dono.
L’aria profuma di principio e di fine,
di mondo che si rinnova, di pace sottile.
Ogni goccia è un verbo gentile,
che insegna alla polvere a farsi mattina,
a farsi zefiro, a farsi bambina.
E io, che da sempre appartengo al grigio,
la guardo con una tenerezza che punge,
vorrei essere come lei, candida, ambigua,
capace di morire e rinascere tra le giungle.
Camminerei nuda sotto il suo canto,
lasciando che mi scavi, che lavi ogni rimpianto;
perché la pioggia non teme la verità,
la veste d’anima, la fa libertà.
C’è una luce, sì, ma è una luce d’acqua,
non urla, non brucia: pacata, fiacca,
sussurra alle pietre, accarezza il dolore,
e fa del fango una forma d’amore.
Eppure, lo sento, sto imparando da lei,
a cadere con grazia, a restare se puoi,
a fare del peso un inno leggero,
a diventare fragile ma sincero.
Forse anche questo è imparare la luce:
capire che il buio non sempre seduce,
che dentro la pioggia, nel suo tremore,
c’è il primo respiro di un nuovo colore.
La pioggia scende, e io con lei.
non per fuggire, ma per trovarmi, ormai.
E in ogni goccia che tocca il mio viso,
c’è un riflesso di sole, un perdono, un sorriso.